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Attività nel campo della regia di spettacolo
Altre creazioni artistiche e letterarie
Le scarpe da tennis di John
di The Anonymous Hood
9 febbraio 2024
Sono le 18.00 di una serena e calda giornata di febbraio. John entra nel circolo ARCI di Bordighera con una bottiglia di economico Pigato sotto il braccio. Ha appuntamento con Giovanni, uno dei tanti pensionati che frequenta quotidianamente i tavoli da scopa del circolo. Questo simpatico vecchietto conosciuto casualmente da John poche ore prima durante la manifestazione canora dei fiori che annualmente si tiene a Bordighera in febbraio ha pregato John di passare a trovarlo al circolo. E lui adesso è lì con una bottiglia di vino bianco sotto il braccio. Non sa perché ha accettato l’invito; forse per la malinconica simpatia del vecchietto, o forse per la sua gran chiacchiera che a John mise una gran allegria distraendolo così dalle vuote e noiose canzoni del festival che avrebbe dovuto recensire ma che avrebbe tanto desiderato non ascoltare e che alla fine ha recensito senza ascoltarle, o forse ancora per quel suo “irresistibile” sorriso sdentato. Non lo sa perché è lì John; lui, che non è solito accettare inviti da gente appena conosciuta. Ma quella faccia rugosa ed espressiva gli mise addosso una strana curiosità che avrebbe dovuto essere soddisfatta. Era come se l’atteggiamento del pensionato, il modo di proporsi e la naturalezza che solo poche ore prima li aveva fatti conoscere durante la manifestazione canora, distogliendo John dall’ascolto di noiose e pessime canzoni imposte al pubblico solo e unicamente per soddisfare i bisogni commerciali delle diverse etichette discografiche, esprimesse l’urgenza di dover comunicare qualcosa d’importante, qualcosa che in tutta la vita al vecchietto non gli era mai riuscito di comunicare.
“Scopa!”, si sente urlare da un tavolo del locale. E John riconosce la voce di Giovanni. Si avvicina al tavolo del circolo, dove due fanti sono pronti a essere raccolti e messi uno a faccia in giù sopra un mazzo di carte coperte e l’altro a pancia in su accanto ad altre due carte scoperte. Quattro pensionati sono intenti a giocare a scopa. “Salve signor Giovanni.” “Ciao John; Sei venuto allora…” dice sorridendo il pensionato. “Non ti aspettavo. Invito gente ogni giorno ma non viene mai nessuno.” “Le ho portato un omaggio; è un Pigato.” “Bravo ragazzo! Fammi vedere che razza di Pigato ci farai bere. …oh raga; è il nostro vino, stessa cantina, è quello che beviamo sempre! John; come hai fatto a indovinare il vino?” “Fortuna signor Giovanni, solo fortuna.” “Ma quale fortuna! Qui c’è del sesto senso! Amilcare!” dice Giovanni rivolto al barista “porta una sedia e un bicchiere per il nostro amico!” Amilcare arriva, con la sedia e il bicchiere per John. Poi torna al bancone, imbruttito come sempre perché quei dannati vecchietti portano sempre il vino da casa e al bar tuttalpiù ordinano un caffè, al massimo una spuma bianca se e quando gli viene sete, e stanno tutto il giorno a giocare a scopa senza consumare niente che possa arricchirlo e fargli finalmente cambiare vita, quella poca rimasta, ché di stare dietro il bancone dell’ARCI ne ha pieni i santissimi. Non sa ancora Amilcare che quel pomeriggio sarebbe stato per lui uno dei pomeriggi più remunerativi della storia del tavolo di quei quattro pensionati. “Un brindisi al mio amico John!”dice Giovanni ai presenti stappando la bottiglia appena ricevuta in regalo. E via, a riempire i cinque bicchieri sul tavolo. Poi gioca una donna di cuori.
“Sai giocare a scopa John?” “Conosco il meccanismo, ma non gioco da quarant’anni.” “Ti ho fatto una domanda John, gradirei una risposta; sai giocare a scopa sì o no?” “Sì, signor Giovanni.” “Ti va di fare coppia con me, che Gustavo deve tornare a casa dalla moglie? Quella è un’arpia, e se non lo vede a casa per le 18.30 chiama suo nipote carabiniere e lo fa venire a prendere qui al bar facendogli fare un’evitabile figura di merda.” “Va bene”, risponde John. I quattro finiscono la mano di gioco. Gustavo si alza dalla sedia, trangugia il vino rimasto nel bicchiere e se ne fa versare un altro da Giovanni, che beve tutto d’un fiato. Poi va verso il bancone, ordina e paga una bottiglia dello stesso Pigato a un incredulo Amilcare. La prende e la porta al tavolo dei quattro. “Questo è il mio giro di benvenuto all’amico John. Ora torno a casa dalla iena, ahimè, misero tapino… é stato un piacere conoscerla John: torni a trovarci.” E mentre John prende il posto di Gustavo al lato sud del tavolo quadrato, Amilcare si avvia verso la stessa porta da cui è entrato il critico musicale. All’uscita dal bar di Amilcare, una folla di simpatici vecchietti si alza contemporaneamente dai loro tavoli e circonda il tavolo dei quattro giocatori di scopa. “Dai carte John.”, dice Giovanni. Il più giovane della compagnia comincia a mischiare le carte con l’arte di un prestigiatore consumato, lasciando a bocca aperta tutti gli anziani del circolo. Dopo tre partite il punteggio è di quindici a quattro a favore del vecchio e del meno vecchio, ovvero per l’inedita coppia di giocatori neo formata. “Sei bravo, John.” “Grazie Signor Giovanni”
Mentre anche la seconda bottiglia di vino stava per essere vuotata, un vecchietto di quelli attorno al tavolo posa un’altra bottiglia di Pigato sul tavolo. “Questo giro ve lo offro io: alla salute!” “Alla salute!”, rispondono i quattro coi bicchieri alti. Poi, lo stesso vecchietto si rivolge a Giovanni e dice “Perché non racconti al tuo amico John di quella volta all’AIR?” “Dici che devo? Prima gli faccio una domanda: John; cosa ne pensi di questo politicamente corretto che quelli della tua generazione sbandierano quotidianamente? Cosa ne pensi della tue recensioni musicali farlocche, recensioni chiaramente imposte dalla tua casa editrice e buone solo a scongiurare il tuo licenziamento?” John, stupito per la domanda, ci pensa qualche secondo prima di dare una risposta. Non sa se mentire o dire la verità. Perché in fondo si trovava tra sconosciuti e, dicendo la verità, chi avrebbe potuto garantirgli che in mezzo a questo gruppetto di simpatici pensionati non si nascondesse una spia pronta a correre a riferire al suo editore la sua eventuale sincera risposta? Poi pensa che nella sua lunga carriera di critico musicale mai fu uno sconosciuto a riferire le sue confidenze al suo editore, e che a procurargli grattacapi professionali ed economici furono invece persone di fiducia, colleghi arrivisti; fu sempre gente fidata e da lui molto ben conosciuta a comunicare al suo editore le sue sconvenienti confidenziali sincerità. Così è che opta per rispondere il vero. “È una grave limitazione della libertà. È un oltraggio al pudore. È l’antitesi del Giornalismo. È una losca sporca maniera ripulita ad arte per poter speculare e mettere a tacere qualsiasi verità. È la morte della musica, dell’arte. È un pessimo riciclaggio di coscienze sporche, un attentato alla fantasia e all’onesta; in due sole parole, è triste. Eppure il politicamente corretto e le false recensioni sono pane quotidiano, signor Giovanni.” “Bella risposta: mi è piaciuta. Sì Adelmo; credo che John sia degno di sentire la storia dell’AIR.
Caro John; questo locale, che oggi è il circolo ARCI che puoi vedere, fino al 1950 è stato una casa di piacere. Quasi tutti noi qui abbiamo perso la verginità. Qui ci portarono i nostri padri, oppure i nostri zii, o i nostri parenti, e qualcuno di noi per perdere la verginità fu portato qui addirittura dalla sua stessa madre. Allora era un’usanza inconfessabile, un regalo anonimo, o forse qualcosa di dovuto ereditario mai messo a testamento. Qui c’erano le donne più belle di tutto il ponente. Il locale non emanava mica questo puzzo di fumo e fritto, ma profumazioni esotiche che davano alla via principale del paese il fascino di latitudini più meridionali della nostra. L'AIR sembrava dar luce al paese, illuminarlo, soprattutto negli anni bui della guerra. Che ragazze! Che donne! L’AIR era gestito da Suedama, una matrona senza scrupoli che reclutava povere ma bellissime ragazze con la promessa di un lavoro onesto e di un futuro radioso, e da Olleroif, il socio di maggioranza dell’AIR che assecondava ogni richiesta economica di Suedama ben sapendo che gli sarebbe ritornato nelle tasche come minimo il quintuplo di quanto investito: una sorte di campo dei miracoli funzionante, non farlocco come quello di Pinocchio. Ma questi mattacchioni di coetanei che mi circondano non vogliono mica che ti racconti vita morte e miracoli di questa realtà che ben conoscono, avendola come me vissuta in prima persona: questi mattacchioni vogliono sentire di una sera sola, ovvero di quando tirai in piedi il casino incredibile, ovvero dell’unica volta che m’innamorai.” Al che dalla sala del circolo parte un grande e spontaneo applauso, e una bolgia di “Sììì! Grandeee! racconta vecio! vai Giova! sei tutti noi!” “Bene raga, vado, vado… ma non prima che un’altra bottiglia di Pigato compaia su questo tavolo: a chi tocca pagare il giro?” Tre pensionati del pubblico non pagante si precipitano verso il bancone, e poco dopo tre bottiglie dello stesso Pigato sono sopra il tavolo della scopa. Mentre Amilcare, incredulo, conta e mette in cassa il denaro: trenta euro in contanti; l’incasso di quasi una settimana in una sola serata… “Che balordi questi pensionati!”, pensa. E mentre Amilcare sogna ricchezze che mai gli arriveranno, John domanda:“Signor Giovanni, una domanda: ma per cosa sta AIR? È un acronimo oppure è ARIA in inglese?” “Acronimo?” Domanda perplesso Giovanni “No, mi perdoni, ho sbagliato a esprimermi,” risponde John “La sigla, volevo dire: AIR è una sigla o cos’altro?” “Ah; la sigla! E parla comprensibilmante, giovanotto! AIR stava per Anonima e Intima Ricreazione.” “Grazie signor Giovanni” “John, porca paletta; la pianti di darmi del signore? Qui sei tra amici, tutti belli bevuti per giunta: e dacci del tu!” “Come vuoi, Giovanni” “Meglio: molto meglio. Adesso sì che ci sentiamo tutti un po’ più giovani. Proseguo, anzi; comincio.
La guerra era finita da poco, e tutti quanti noi impegnavamo i nostri pensieri su altro di diverso dalle macerie da ricostruire, ché era l’unico modo per continuare a vivere. Noi, io e tanti di questo gruppo di anziani, allora giovani, avevamo deciso di non occuparci di politica, che visto quello che era successo avevamo capito di non capirci niente in materia, e che, occupandocene, avremmo ben presto fatto altri danni, come i precedenti se non più gravi vista la nostra incapacità politica. Così decidemmo di campare d’espedienti, che di lavorare la terra e ricostruire dalle macerie, ricostruzioni pronte a diventare nuove macerie con la prossima guerra, nessuno di noi ne aveva voglia. Guadagnavamo inventandoci dei mestieri: chi s’improvvisava dentista, chi meccanico, chi s’inventò di colonizzare pezzi di spiaggia e costruirci sopra stabilimenti balneari, chi si diede al commercio, chi s’improvvisò animatore. Nessuno potè improvvisarsi notaio, che allora come oggi il notaio è un mestiere che non s’improvvisa: s’eredità per dinastia regale. In molti di noi frequentavano l’AIR. Eravamo diventati di casa, pronti a spendere qui ogni guadagno ché il futuro, dopo quello che era stato il recente passato, non si sapeva se esistesse realmente. Qui ci divertivamo: stavamo con donne bellissime, bevevamo superalcolici di contrabbando, fumavamo, legale e illegale, giocavamo d’azzardo, allora illegale, e tanto altro ancora. Eravamo di casa, e sempre ben voluti sia da Suedama che da Olleroif in quanto eravamo la loro maggior fonte di guadagno.
Un mattino arrivò tra le ragazze una nuova. Si chiamava Musica. Era bellissima! Me la ricordo esattamente come fosse oggi qui davanti a me per la prima volta. Invece era l’8 febbraio del 1948, e io avevo vent’anni. Credo di essere stato il primo a vederla. La vidi entrare dalla porta d’ingresso con Suedama. Era vestita di cenci ma era comunque bellissima, tanto che trasmetteva la sua bellezza anche agli abiti che indossava e che, pur essendo cenci, parevano invece di tessuto pregiatissimo. Aveva i capelli neri, il viso leggermente ovale, un seno prorompente e due grandi occhi neri, addirittura più neri dei suoi capelli, e la pelle color ambra. A me sembrò la musa di Michelangelo. Mi fa strano a dirlo ma me ne innamorai all’istante, che l’amore è imprevedibile e quando ci cattura ci cattura e non ci liberiamo perché anche potendo facilmente liberarci restiamo lì, incatenati col lucchetto aperto, prigionieri dell’amore, in balia dell’amore, rincretiniti, rincitrulliti; rincoglioniti. Quella sera varcai la porta dell’AIR prima del consueto. Cercai Suedama e le dissi “Buonasera madame; come va?” “Bene, mio giovane amico. Faccio preparare Augustine?” “Madame; oggi vorrei cambiare. Ci sono per caso nuovi arrivi?” “Sì. C’è una ragazza che è arrivata proprio stamane. Si chiama Musica, ma è ancora acerba, spaesata, vorrei che si ambientasse un poco prima di metterla al lavoro. Vorrei che vedesse le altre, che si comportasse come le altre, che non gli vengano strani grilli per la testa, che è giovane la mia Musica e quando si è giovani i grilli per la testa abbondano. E qui coi grilli ci sarebbe da fare come fece Pinocchio…” “Madame Suedama, posso vederla?” “Certo che sì” E mi portò alla parete conosciuta, dove tutto si vede senza essere visti. La vidi. Era di una bellezza accecante. Era stata ripulita, pettinata, truccata, probabilmente profumata e vestita con gli abiti eleganti che servivano alle ragazze per catturare i gonzi come me: abiti sexy ma non volgari in perfetto stile bordello di alta classe del dopoguerra. Fu in quel momento che Olleroif entrò nella stanza. “Suedama, amica e complice: hai portato Giovanni a vedere la nostra nuova Musica?” “Sì, capo” “E che dice Giovanni della nostra Musica?” Capii che avrei dovuto giocare d’astuzia e non dare a vedere a questi due volponi il mio innamoramento per Musica. “È una bambina, si vede benissimo”, dissi a Olleroif e Suedama, “che non imparerà mai il mestiere.” “Imparerà, imparerà.” dissero in coro i due soci in affari. “Non imparerà. Scommettiamo?” “Quanto?” “Ventimila lire.” “È il tuo stipendio di due mesi di lavoro.” “Appunto mio caro Olleroif: se vinco, io avrò guadagnato due mesi di stipendio in una sola serata mentre se perdi, e perderai, tu avrai perso l’incasso di una sola serata. Ché tanto è sicuro che vinco!” “Quanto sei spocchioso oggi Giovanni! Suedama: diamo una lezione a questo giovane insolente! E in cosa consisterebbe la scommessa?” “Quella non mi fa neanche un pompino” “Oh se te lo fa! Suedama!” “Sì, capo?” “Prepara Musica per un pompino come solo tu puoi e sai preparare Musica ai pompini!” “Ci metto un attimo, capo!” Suedama entrò dalle ragazze e io e Olleroif rimanemmo soli. “Vuoi fumare, Giovanni?” “No, grazie: magari un whisky”. Olleroif si avvicinò al bancone degli alcolici, riempì fino a un quarto due bicchieri di whisky, mi si avvicinò e me ne porse uno. Poi, con in mano l’altro bicchiere, si sedette sul grande divano, aprì il portafoglio e tirò fuori venti larghi biglietti da mille lire. Li appoggiò sul vassoio d’argento che era sul tavolino di cristallo della sala. “Qui ci sono i miei soldi, giovane insolente. Il piatto piange…” “Non ce li ho con me, dovrei andare a prenderli.” Non c’è tempo: a breve Musica sarà pronta per il tuo pompino: conosco la grande professionalità di Suedama e tra poco sarà qui con la sua Musica” “Una Musica che non suonerà il piffero”, risposi violentandomi. Olleroif finì il suo whisky in un fiato, si alzò dal divano e andò verso l’armadietto da cui tirò fuori un mazzo di pagherò. Ne contò venti e ripose la mazzetta nell’armadietto, chiudendolo. “Firma qua, giovane insolente! Poi poggiali sui vassoio con le mie ventimila lire. Se vincerai potrai prenderti tutto, vassoio compreso. Se perderai, e perderai, dovrai pagarmi entro una settimana.” E per venti volte misi l’autografo sui pagherò.
Dovevo ancora mettere due firme quando si aprì la grande porta della stanza delle ragazze. Uscì Suedama con a braccetto Musica, e subito dietro loro seguivano Augustine e Vanessa. Firmai velocemente gli ultimi due pagherò. “Giovanni, ti presento Musica.” disse Suedama con la sua innata dote di presentatrice. Non risposi, forse neppure sentii quanto mi disse Suedama. Trovarmi faccia a faccia con la straordinaria bellezza di Musica non solo mi ammutolì ma mi assordò anche. Sentii le orecchie fischiare e le gambe cedere come quando si ha un calo di pressione. Pensai di svenire ma ben sapevo di non potermelo permettere. Così mi ripresi, di botto, per necessità, e risposi “Come hai detto Suedama?” “Ho detto che questa è Musica. Sarà accompagnata da Augustine e Vanessa: è la sua prima volta…” “Sarà da sola invece!” ribattei con arroganza. Poi mi sedetti accanto a Olleroif e gli sussurrai nell’orecchio: “Questo non fa parte della scommessa. Non era nei patti o Musica rimarrà sola con me oppure hai perso. Decidi!” “Perché non lasciare questi due bei piccioncini da soli, mia cara Suedama?”, disse Olleroif. “Ma…” “Niente ma! Ogni desiderio del cliente è per noi un dovere, un obbligo: se Giovanni vuol stare da solo con Musica, starà da solo con Musica.” “Ma…” “Niente ma! Augustine, Vanessa: ritiratevi!” “Ma…” “Niente ma ho detto! ritiraretvi!” Disse Olleroif alle due ragazze alzando il tono non di molto ma di quel tanto che bastò a renderlo autoritario. Presi per mano Musica, e insieme entrammo nell’alcova. Lei tremava come una foglia. Io tremavo come una bandiera rossa issata in spiaggia durante la peggiore delle tempeste di vento. Ci sedemmo sul fondo del lettone, morbido e profumato, e rimanemmo in silenzio per un paio di minuti. Fu lei a parlare per prima. “Ciao” “Sei bellissima” le dissi. “Io non l’ho mai fatto.” “E non lo farai neppure oggi. Perché sei qui?” “Non lo sai il perché? La povertà c’era già prima della guerra, ma era affrontabile. Ora questa povertà è inaffrontabile. Coi lavori normali ci sfruttano, ci sottopagano, e utilizzano contro di noi il fatto che non siamo potuti andare a scuola causa guerra. E ci chiamano ignoranti, e ci trattano peggio dei muli… Per cosa? Per tremila lire al mese? con lo zucchero che costa 270 lire al chilo? Perché sono qui? Perché sono qui? Perché quando avrò imparato a non amare potrò guadagnare anche 50.000 lire al mese.” “E imparerai a non amare?” “Imparerò!” “Musica, sei sicura?” “Sono sicura. Spogliati.” “Spogliami tu, se non mi ami. Io rimarrò immobile; non ti toccherò neppure con un dito.” Musica si sedette sui miei quadricipiti femorali. Cominciò a strusciarsi, con un ritmo lento e ondulatorio. Il leggero abito di pizzo faceva indovinare le sue forme, sode e perfette. Io rimasi immobile. Lui… no."
Dice Giovanni abbassando lo sguardo verso il membro.
"S’indurì, e voleva venire fuori proprio come il serpente nella cesta al richiamo della musica dell’incantatore. “Musica: ti prostituirai?” “Mi prostituirò” “Sei cosi piccola, Musica, eppure già così bella… perché?” “Perché non ho scelta.” E abbassò la zip dei miei pantaloni. Succedette tutto senza ch’io mossi un muscolo. Musica, aveva imparato tutto e subito. Non che nell’arte della prostituzione ci sia molto da imparare, ché basta sottomettersi, fingere, urlare di piacere senza provare assolutamente niente; basta mentire agli altri e soprattuto a se stessi. Si stava rivestendo con le stesse identiche movenze di Augustine: non avessi avuto la certezza che questa era stata la sua prima volta l’avrei scambiata per una prostituta consumata. “Fanno mille lire”, disse “Ti è piaciuto?” “No”, le risposi allungandole il denaro.”
"Il vino, veci, il vino! è finito! Volete o no che finisca la storia?” Amilcare si avvicinò con due bottiglie di Pigato già stappate, le appoggiò sul tavolo e fece ritorno al bancone con in una mano tre bottiglie vuote e nell’altra due banconote da dieci euro: una firmata Lagarde, l’altra Draghi.
“Mi misi a piangere “Che hai Giovanni?” “Ti amo” “Ma che sciocco sei: neppure mi conosci...” “Hai ragione: non ti conosco. Eppure ti ho nel sangue, Musica. Ti sento. Stamattina ti ho visto arrivare con Suedama” “Mi hai visto con quegli stracci indosso?” “Quali stracci? Sembravano tessuti pregiati, mentre è ora che vedo gli stracci; ora, mentre stai rivestendoti con vestiti eleganti di tessuto pregiato.” “Cosa dovrei fare secondo te?” “Non lo so, ma non prostituirti.” “Non posso. Il Mercato vuole che sia così: dare e prendere. Anch’io darò, cosicché poi potrò prendere” “Ti sei mai chiesta quanto darai e quanto ti verrà preso?” “No. E non m’importa. Forse che sposando te sarei una Musica migliore?” “Forse.” “Coi forse non si va da nessuna parte. Fingo. Fingerò. Canterò l’amore senza averlo vissuto, urlerò acuti per orgasmi mai provati. A te non è piaciuto?” “No.” “A me sì.” E varcò la porta dell’alcova, dove ad attenderla c’erano tutte le ragazze con in prima file Suedama e Olleroif. “Fatto?” Domandò Suedama “Sì” “Fatto il pompino?” “Mica solo quello…” “Che si dia inizio alla festa!” Urlò un gioiso Olleroif mentre stappava una bottiglia di pregiato champagne francese “Musica è nostra, Musica è una di noi!” Urlarono le prostitute in coro, festeggiando Musica.
“Ventunmila lire in una serata… Sudasti sette camicie lavorando giorno e notte per pagare la scommessa a Olleroif, e alla fine, strozzinaggio d’interessi per i continui ritardi nel pagamento, ti toccò pagare a quel gaglioffo quarantacinquemila lire, ricordi? Una follia nel 1948… Fosti un pazzo.”, disse un vecchino del gruppo “Non fui pazzo, fui molto più che pazzo: fui innamorato. Ché poi, se oggi vai in banca a chiedere un prestito il tasso d’interessi è più o meno simile agli interessi che praticava allora Olleroif, no? …e di certo le banche di oggi non fanno credito agli innamorati, no?”, rispose Giovanni.
“Grazie Giovanni. Si è fatto tardi: il treno per Milano parte tra poco. Grazie della serata e del piacevole racconto, e ti ringrazio soprattuto per avermi distratto dalla manifestazione canora. Ché se anche avessi ascoltato le canzoni le mie recensioni, essendo obbligate e non libere, sarebbero state identiche a quelle che già ho inviato al giornale. Mi piacerebbe molto innamorarmi della musica così come tu t’innamorasti della tua Musica, Giovanni, ma non posso permettermelo: i prezzi delle case di piacere sono di molto aumentati dal 1948 a oggi. E non ci sono più né gradevoli profumi né belle canzoni. Buona vita a tutti. E grazie ancora.” “Buona vita a te, John.” E saltellando dentro le sue scarpe da tennis, fischiettando il ballo del qua qua, i piedi di John presero la strada per la stazione di Bordighera.
Perché ho intitolato questo racconto “Le scarpe da tennis di John”? Perché doveva essere un altro racconto. Poi, scrivendo, è venuto fuori questo. Ho ignorato i raccordi che avevo programmato per arrivare a raccontare la prostituzione della TV e sono finito per non so quale ragione a raccontare della prostituzione della musica. O forse mento e la ragione la conosco benissimo. Perché ciò? Perché se Sanremo è Sanremo, anche la Musica malafemmina di Bordighera e tutta la malamusica del mondo può essere Sanremo.
P.S. John si sbagliò. Giovanni non aveva nulla da raccontare che non avesse già raccontato, perché quella storia del circolo ARCI di Bordighera la conoscevano tutti. Infatti Giovanni, un giorno sì e l’altro pure, alle 18.30 in punto, con narrazione impropriamente epica, raccontava l’episodio di Musica a tutti gli avventori presenti nel bar di Amilcare. Tutti però tacquero. Tutti tacciono. Tutti taceranno. Tutti sapevano. Tutti sanno. Tutti sapranno. Tutti, meno uno. Chi? Gustavo.
P.P.S. Volete sapere chi è la moglie di Gustavo, l’arpia? Ma è Musica, ovviamente!